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(H)EAR – Sergio Fermariello

Arte

3.10.2020 

25 lastre in ferro, un travertino bucato e 6000 steli in ottone formano un campo di grano le cui spighe si muovono e dondolano, mosse da un soffio di aria, come un alito di vento. Ma queste spighe sono speciali e alla cima sono costituite da piccoli orecchi.

Un riferimento a Van Gogh, al taglio dell’orecchio, a quello che Sergio Fermariello definisce il gesto estremo e caustico: la parola ear in inglese corrisponde sia a orecchio sia a spiga. Ma l’ampliamento semantico di ear include anche sempre dall’inglese, hear, ascoltare.

 

Un rinvio profondo all’ascolto, quello che l’orecchio sensibile dell’artista ci rivolge: ascoltare il tempo, le sue mutazioni, attraversare il buio e la ferocia di una pandemia che ha messo l’umanità dinanzi al bivio tra vita e morte, tra cambiamento e distruzione.
Sulla parete opposta, a chiudere il campo di grano, altri guerrieri, questa volta forati. Un esercito di circa un migliaio fora la tela restituendole parola, non pittura come belletto, ma verità e voce per questi guerrieri che fanno parlare la materia su cui vivono.

 

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